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Gli imprevisti del lavoro autonomo e il coraggio che serve per creare il “nuovo”.
Quando si lavora in proprio ci sono dei momenti in cui tutto quello che avevamo pianificato con cura viene spazzato via in un attimo.
A me è successo qualche mese fa. Mi sono ammalata di Covid due giorni prima di un evento dal vivo per cui mi preparavo da mesi. Questi imprevisti non sono divertenti, ma hanno un lato positivo. Ti fanno sentire come se non avessi più nulla da perdere e per questo tirano fuori il meglio della tua creatività.
Bloccata a casa col Covid e con una buona quantità di prodotti che al momento non sarebbero stati venduti, ho avuto due reazioni. La prima è scontata: confusione e sconforto. Nonostante la febbre, mi sono rimessa subito al lavoro con l'idea di recuperare online ciò che non avevo potuto fare dal vivo. Poi la febbre e l'oggettiva impossibilità di sostituire un evento con qualche post su Instagram, hanno avuto la meglio. Così mi sono fermata e mi sono finalmente messa a disegnare.
Non ho sempre molto tempo per disegnare per me.
Al contrario di quello che forse immagini del mio lavoro, le mie giornate sono spesso riempite da altre attività, per esempio pensare e produrre contenuti che mi aiutino a raccontare il mio lavoro, realizzare illustrazioni o ricami su commissione, pianificare i corsi e preparare le lezioni. Oltretutto, anche se fatico ad ammetterlo, io sono una grande procastinatrice.
Creare cose nuove è faticoso e mi fa sentire fragile.
La creazione mi espone alla possibilità che non venga fuori nulla di interessante e questo fa paura. Perciò ho sempre qualcosa di più urgente da sbrigare. Nei giorni dell'isolamento, però, avevo esaurito tutte le scuse e, soprattutto, avevo un immenso bisogno di sfogarmi.
Perciò ho preso una risma di fogli da fotocopie, il mio pastello a cera preferito e ho iniziato a disegnare. O meglio, ho iniziato a tracciare dei segni sul foglio riempiendolo per intero. Volevo occupare tutto lo spazio, arrivare agli angoli, aggirarli, attraversare il foglio nel mezzo e colorare male, con gesti ampi, non controllati, come quelli dei bambini ai loro primi disegni. Avevo fisicamente bisogno di disegnare così.
Ho iniziato allora a riempire diversi fogli.
Erano disegni rapidi, fatti in pochi minuti. Qualche disegno semplicemente non aveva senso, altri invece erano diventati delle rappresentazioni di me stessa in uno spazio stretto – il modo in cui forse percepivo lo spazio di casa visto che non potevo uscire. Ho disegnato le posizioni che avevo assunto in quei giorni di febbre e dolori a letto. C'era il gatto, perché il gatto c'è sempre. E c'era il mio segno, grezzo, deformato, sproporzionato eppure estremamente mio.
Ho avuto il dubbio se pubblicare online i disegni che avevo fatto.
Non erano illustrazioni per così dire “ufficiali”, non rispettavano nessuna proporzione. Forse erano pure brutti. Però, a me piacevano tanto, mi rappresentavano in un momento complicato ed erano veri. Così li ho pubblicati e in realtà ho scoperto che piacevano, che riuscivano a comunicare qualcosa pur essendo dei disegni non pensati. Uno in particolare, quello della ragazza con maglione rosso e gatto ha ricevuto un apprezzamento unanime.
È curioso come i feedback esterni ci facciano sentire più o meno autorizzati a fare qualcosa che già desideravamo.
Ora il disegno con maglione rosso e gatto è stampato in grandezza originale su una serie di shopper serigrafate a mano. Quello della serigrafia è un progetto che volevo fare da tempo e su cui ancora non avevo avuto il coraggio di investire. Ora quel coraggio l'ho trovato. E ho appeso quel disegno di fronte alla mia scrivania per ricordarmi dove andarlo a prendere quando ho paura.